Una nuova tecnica per ridurre i rischi d’infezione e di ricaduta della malattia leucemica nei casi di trapianto di cellule staminali messa a punto dall’équipe del prof. Franco Locatelli, responsabile del Dipartimento di Oncoematologia e Medicina Trasfusionale all’Ospedale Bambino Gesù. Un nuovo metodo di ingegneria dei trapianti di midollo che accende un lume di speranza per tutte quelle famiglie colpite dalla malattia grave di un figlio.
Trapianto cellule staminali, la nuova tecnica
“Sostanzialmente – spiega il prof. Locatelli in questa intervista a Trenta Ore per la Vita – il trapianto di cellule staminali è una terapia in grado di salvare la vita a pazienti leucemici che non abbiano risposte ai trattamenti convenzionali, piuttosto che a bambini affetti da malattie congenite ereditarie in larga parte, che connotano dei difetti di funzione, per esempio del sistema immunitario piuttosto che nella produzione di globuli rossi”.
Per tanti anni l’unico donatore che poteva essere impiegato per il trapianto delle cellule staminali era un fratello o una sorella compatibile. Una eventualità, questa, che si verifica solo nel 25 per cento dei casi, considerando la contrazione delle nascite nei paesi occidentali.
Nonostante si sia ovviato a questo problema attraverso la creazione di registri di donatori di midollo osseo e grazie a punti di raccolta e conservazione del sangue cordonale, il 30/40 per cento dei bambini, così come degli adulti, non possiede un donatore utilmente impiegabile né in ambito famigliare, né nei registri di donatori di midollo osseo.
L’ospedale Bambino Gesù ha ormai da 5 anni messo a punto una nuova tecnica di trapianto di cellule staminali da uno dei due genitori per tutti i bambini colpiti da immunodeficienze severe, rare malattie genetiche dell’infanzia, leucemie e tumori del sangue. Metodo che rappresenta un grande vantaggio grazie alla straordinaria velocità di intervento per tutte le patologie in cui vi è una urgenza di tipo trapiantologico.
“Entrando nel dettaglio – illustra Locatelli – questo approccio innovativo era basato su una manipolazione delle cellule infuse, con la rimozione di quella sotto popolazione di linfociti, detti linfociti T alfa – beta positivi, che determinerebbero in assenza di una loro rimozione un attacco delle cellule del donatore sull’organismo del ricevente”.
Con questo metodo si è dimostrato che circa il 90 per cento dei bambini affetti da una malattia non neoplastica può essere definitivamente guarito. Invece, nei bambini affetti da leucemia, la probabilità di guarigione è nell’ordine del 75 per cento.
“Già una base straordinariamente alta”, commenta il professore.
Negli ultimi mesi il programma è stato ulteriormente implementato e rifinito definendo un approccio innovativo per accelerare la ricostituzione immunologica dopo il trapianto.
“Si tratta – chiarisce il professor Locatelli – di implementare su questa base un’infusione, più o meno a 15 giorni dal trapianto, di un numero controllato di linfociti T alfa-beta, ingegnerizzati in maniera tale da contenere un gene suicida, ovvero un gene che in caso di aggressione sui tessuti del ricevente determina immediatamente la morte dei linfociti che sono responsabili di questo attacco”.
E’ evidente che con questo approccio si riesce non solo a ridurre i rischi di infezioni gravi per il paziente, ma anche a conferire una protezione rispetto ad una possibile ricaduta.
La nuova tecnica che riduce le infezioni e le ricadute post trapianto è già stata messa in pratica dall’ospedale Bambino Gesù. Nello studio formale, approvato dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco sono stati inclusi 18 bambini.
“I risultati ottenuti – conclude soddisfatto il professore – ci confortano sulla bontà della progettualità, perché ad oggi nessuno di questi bambini ha sviluppato delle infezioni gravi per la vita”.