Una malattia cronica e degenerativa come la Sclerosi Multipla, con la sua disabilità si inserisce nella vita di una donna e nei ruoli che ricopre coinvolgendo tutta la famiglia.
Parla la dottoressa Cinzia Rolando, psicologa
All’interno di una coppia madre-bambino la malattia interferisce con quello che è il naturale svolgersi delle funzioni di accudimento della madre e di condivisione della vita con il proprio figlio, così come influenza i vissuti di un figlio verso la propria madre.
Una mamma in questa condizione può sentire minato il proprio senso di competenza nella relazione con il proprio figlio. Questo accade per un dato concreto, cioè i limiti oggettivi, fisici, imposti dalla malattia. Su questo però il margine di possibilità di intervento è molto ampio.
La Sclerosi Multipla, quando impone una disabilità, introduce come elemento centrale nella percezione delle persone con malattia una sensazione di inadeguatezza, sperimentata dalla diminuzione della propria autonomia di movimento e di prestazione.
Improvvisamente la dimensione motoria e prestazionale nel suo essere compromessa diventa centrale, con il rischio di perdere di vista il senso di complessità del proprio ruolo e della propria presenza all’interno delle relazioni.
In un’epoca iperprestazionale come la nostra si aggiunge un’ulteriore ferita al sentirsi madre adeguate nel momento in cui ci si sente limitate, o addirittura nell’impossibilità di seguire i propri figli nelle loro attività quotidiane e pratiche. Sembra infatti che tutto si concentri sui bisogni di supporto fisico che regolano uno scambio genitoriale: fare i compiti, giocare insieme, essere portati in giro, invitare amici etc…
Non possiamo negare che il supporto materiale sia un elemento importante in una relazione madre-figlio, così come all’interno della famiglia. Una mamma meno in grado di occuparsi delle cose pratiche di una famiglia introduce un elemento di fatica nella vita di un figlio, ma quanto questo deficit può essere ausiliato e sostenuto?
Sappiamo infatti che il grado di invalidità della persona con Sclerosi Multipla non è correlato in modo significativo con la sua possibilità ad adempiere ruoli significativi, quando invece può esserlo la depressione.
Questo diventa per noi un dato importante. I nostri ragazzi hanno bisogno dei propri genitori per essere accompagnati nelle proprie attività quotidiane e nelle sfide della vita, ma non solo in termini pratici, ma soprattutto affettivi, con una presenza relazionale, educativa, autorevole. Tale tipo di presenza non è invalidabile con la disabilità, ma più con il senso di sconfitta e di rinuncia che a volte le mamme con disabilità sperimentano.
Dobbiamo considerare con molta attenzione la necessità di supportare una madre con SM nel poter stare a fianco dei propri figli.
Una madre affetta da una malattia cronica necessita di superare il proprio senso di colpa e di vergogna presso i propri figli, non solo per potersi concedere un’apertura alla possibilità di chiedere aiuto, ma anche per trasmettere ai propri figli la possibilità di gestire la situazione a loro volta senza vergogna sentendosi liberi di condividere paure ed emozioni.
Si tratta di un viaggio che passa attraverso rabbie, vergogne, sensi di colpa, ma che diventa necessario compiere, affrontando la perdita del proprio senso di “onnipotenza materna”, che tanto ci accompagna oggi, per autorizzarsi a chiedere aiuto, aprirsi alla rete, farsi sostenere nell’esercizio del proprio ruolo. Sentendo che anche l’accettare supporto diventa in questa situazione un “compito genitoriale” per poter essere mamme al meglio.
Pericoloso diventa un nucleo isolato, virtuosa invece l’apertura alla rete che possa sostenere un genitore nelle situazioni concrete cui non riesce più provvedere per riprendersi con diritto il proprio ruolo genitoriale.
Sostenere una mamma per sostenerne i figli, attraverso un respiro che possa consentire anche a loro di percepire la possibilità di una rete cui affidarsi nelle situazioni in cui la disabilità non consenta una presenza concreta. La condivisione nella rete dei vari ruoli, che devono diventare flessibili, può essere supporto e garanzia di sollievo ad un nucleo e una coppia madre-figlio messa alla prova dalla malattia.
Essere figli di persone con malattia significa sentirsi arrabbiati, diversi dai coetanei, trovandosi spesso a essere iperresponsabilizzati e adultizzati nel far fronte alle fatiche del genitore presso di loro con la conseguente sensazione di essere troppo grandi, o provando un senso di colpa nei momenti di difficoltà. Vissuti diversi in età diverse, per i bambini più piccoli si possono vivere momenti di angoscia, di paure spesso non realistiche (che la mamma possa morire) o sensi di colpa rispetto all’evoluzione della malattia. L’adolescenza confronta i ragazzi con desideri di autonomia, voglia di affrancamento, di condivisione con i coetanei e di essere come loro. Diventa intuitivo immaginare come la SM possa mettere in difficoltà, ma anche di come ci sia possibilità di affrontare insieme le situazioni ricostruendone i significati.
Occorre rimettere al centro il concetto per cui le mamme sono tali anche se malate con la conseguenza che costruire percorsi di supporto fisico, reale risulta fondamentale perchè si possano vicariare le funzioni che la malattia invalida per rimettere al centro il senso profondo di una relazione madre-figlio.
Per i limiti fisici con un po’ di supporto e di generosità ci si può attrezzare, meno lo si può fare quando per vergogna, colpa, depressione, ci si ritira dalla relazione sentendosi inadeguate.