Il mio nome è Sabina, ma per circa un anno sono stata solo la mamma di Giuliano. Un anno indescrivibile. L’inizio è stato fulmineo, passare da un primo vago sospetto che ci sia qualcosa che non va alla risonanza magnetica che te ne dà la dura conferma in poco più di un giorno, non è per deboli di cuore. Siamo passati in un attimo dalla querelle su chi avesse dimenticato di comprare il latte alla chemioterapia. Attimo che sembra essere durato un’eternità, perché il cervello non capisce e il cuore non vuole crederci.
Avevo la sensazione esatta che il mio corpo e il mio cervello non avrebbero mai retto a questo stato di cose, mi sembrava una sensazione incompatibile con la vita o almeno con la sanità mentale. Ma dovevo assolutamente, se non esserlo, almeno sembrare con i piedi per terra, non forte, ma indistruttibile. Perché Giuliano mi guardava chiedendomi cosa stavamo facendo e perché eravamo lì. E per uno strano istinto di resettaggio della realtà, nell’ora e mezzo (la più lunga della mia vita) di risonanza magnetica, ero riuscita a cogliere l’essenza delle cose: “che viva, non mi importa altro”.
Il tempo per noi era scandito dalle lancette dell’orologio di Peter Pan. L’orologio di Peter Pan ha un andamento tutto suo, può andare come il vento o rallentare come sabbia di clessidra. Famiglie da tutta l’Italia e dal mondo che vivono sotto lo stesso tetto una parvenza di normalità, “che cucini stasera? Ma dai, ancora pasta col tonno!” Famiglie che condividono la paura e che riescono ad esorcizzarla, quando la mattina vai sul pulmino che ti porta in day hospital e si canta, sì, si cantano le canzoni più assurde del mondo.
Se non avessi avuto Peter Pan a proteggermi le spalle sarei impazzita. Ne sono sicura. Ho pensato spesso che siamo una stranissima comunità. Una tribù che si concretizza proprio nella sua impossibilità d’esistere: prendi un pugno di persone stressatissime, mettile dentro una boccia di vetro come pesci rossi, nutrile di pura ansia quotidiana, obbligale a fare un lunghissimo esercizio di pazienza sulla pelle dei propri figli e dirai “No, non può funzionare!”. E invece funziona, e incredibilmente funziona benissimo.
Certo l’isola di Peter Pan ci ha reso donne e uomini diversi, speciali. Non c’è ritorno, la nostra vita ha un anno zero, si divide in prima che tutto accadesse e dopo. In mezzo ci sono i lunghi giorni trascorsi a Peter Pan. E ci ha anche insegnato che la ruota gira inesorabilmente, volubile e capricciosa, sempre ingovernabile e imprevedibile. Ciò che un giorno sembra nero, un altro è bianco e viceversa. E di speranza si vive e ci si nutre tutti insieme, il miracolo è il piatto che vorresti sempre servire a tutti… Miracoli celesti, imperscrutabili.
Ma ci sono altri tipi di miracoli. Importantissimi e altrettanto preziosi. Molto meno misteriosi forse, ma non per questo meno “miracolosi”. Chiamiamoli miracoli orizzontali, per distinguerli dagli altri che giungono dall’alto. Sono quelli che gli uomini compiono verso gli uomini. Con un semplice miracolo di solidarietà i bambini diventano figli di tutti, i loro pianti e i loro sorrisi sono quelli che si rispecchiano nelle nostre facce, le loro pappe mangiate e quelle lasciate sono rebus per tutti noi. I loro sogni fanno sognare tutti. E la loro vita è la guerra che tutti noi vorremmo combattere in prima linea al loro posto. Peter Pan ha cambiato per sempre il significato che davo alla parola “riconoscenza”.
Il modello di accoglienza di Peter Pan ha funzionato per Sabina e il nostro impegno è che continui a funzionare per tutte le altre famiglie che saranno ospitate gratuitamente. Per questo, insieme all’Associazione Peter Pan Onlus, vogliamo garantire un servizio di sostegno psico-oncologico che accompagni e sostenga tutta la famiglia dall’inizio alla fine del percorso di cure di bambini e adolescenti malati di cancro.
Basta poco per aiutarci. Dal 4 al 20 aprile chiama da rete fissa o invia un SMS al numero 45594. Per donare con carta di credito chiama il numero verde 800.33.22.11 oppure online sul nostro sito.