«Le associazioni di genitori nascono nei centri d’eccellenza come nelle realtà più piccole, perché spinte dal dolore dei nostri figli, che è uguale a qualunque latitudine». L’esperienza del dolore e della malattia del proprio figlio è una delle più devastanti per un genitore, ma può essere la molla che fa scattare l’impegno per cercare di migliorare le cose. Come è successo per Vincenzo Gallo, presidente dell’Associazione Carmine Gallo Onlus.
Da dove nasce la sua esperienza con il tumore dei bambini?
Tutto comincia quando mio figlio Carmine si è ammalato, a dieci anni, di leucemia mieloide acuta. Per la nostra famiglia è stata come una tempesta, nella quale ti trovi totalmente impreparato e disorientato. Siccome all’epoca si sapeva molto poco della malattia, ci siamo affidati ai medici del Pausilipon, dove mio figlio è stato curato, che per fortuna sapevano cosa fare.
Era già vicino al mondo del no profit?
Fino a quel momento non conoscevo associazioni del genere e avevo un concetto di generosità che ho dovuto stravolgere completamente. All’epoca per me la carriera portava al benessere per la mia famiglia, e questa era anche la mia giustificazione per le assenze da casa. La malattia di mio figlio invece ha completamente sconvolto la mia scala di valori: da una parte ha distrutto la mia esistenza, dall’altra ha fatto emergere doti e valori che avevo in me e di cui, forse, non sarei mai venuto a conoscenza.
Come nasce l’Associazione Carmine Gallo?
Come un po’ tutte le associazioni dei genitori nasce per lavorare sui bisogni dei nostri figli ogni giorno. Con l’esperienza quotidiana dell’ospedale ci siamo resi conto di essere anche noi interlocutori, perché avevamo a cuore il benessere dei nostri figli anche nelle piccole cose. Noi che in questa realtà eravamo stati catapultati ci siamo sentiti, a mano a mano, parte del processo di cura. Poi mio figlio purtroppo non ce l’ha fatta, e per me e la mia famiglia non è stata una scelta facile quella di continuare a dare una mano, anche se alla fine si è rivelata essere la migliore. Oggi tanti medici, infermieri e genitori si sono riuniti sotto il nome di mio figlio per rendere il Pausilipon l’ospedale oncologico di Napoli: Carmine è riuscito a fare questo e io ne sono orgoglioso.
In tutti questi anni di quale risultato è più orgoglioso?
I progetti per sostenere la formazione dei medici, di raccolta del sangue e per l’umanizzazione dell’ospedale sono tutti riusciti molto bene e ne vado fiero; ma un risultato in particolare che sembrava irraggiungibile è stato quello di riuscire a realizzare i trapianti di midollo a Napoli. Questo è stato quello che più ha motivato e coinvolto, e parte anche dalla mia esperienza personale: quando mio figlio ha avuto bisogno del trapianto, siamo stati costretti ad andare a Parigi e la nostra esperienza è stata disastrosa. Siamo stati lì senza sapere bene cosa fare, senza un alloggio e senza capire neanche la lingua. Quindi la mia promessa a Carmine è stata che i bambini di Napoli, un giorno, avrebbero potuto ricevere un trapianto senza doversi spostare dalla propria regione. Era un sogno, ma lavorando insieme questo sogno si è realizzato e questo ci ha spinti a continuare a sognare.
Secondo lei, quale potrebbe essere il ruolo delle Associazioni per il futuro?
Io credo che il ruolo delle associazioni sia sempre lo stesso. Le possibilità di guarigione sono molto più alte rispetto a quando abbiamo cominciato, ma fin quando non si arriverà a una cura che funzioni per ogni bambino, il ruolo delle associazioni resterà fondamentale. Mi piace pensare al Pausilipon come a un puzzle, in cui ognuno ha contribuito con il proprio tassello: in questo disegno, la presenza dei genitori è fondamentale. Quindi finché ci sarà bisogno del suo intervento, il genitore non deve fermarsi o abbassare la guardia. Io paragono sempre il nostro lavoro a una battaglia: si può vincere o perdere, l’importante è battersi con coraggio.