Di offerte ne ha ricevute tante, anche dall’estero, ma il dottor Domenico Sperlì non ne vuole sentir parlare. I suoi bambini sono quelli dell’Ospedale Annunziata di Cosenza, dove lui è il responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria. Sperlì ci accoglie nel suo ufficio, una piccola stanza all’interno del reparto. La scrivania è talmente piena di carte che a malapena si intravede il computer. Non porta il camice perché ci riceve nel suo giorno di riposo. Prima di entrare per l’intervista viene fermato da una mamma nel corridoio che gli chiede notizie del figlio ricoverato perché malato di tumore. Sperlì ci chiede di aspettare. Dopo venti minuti riappare, scusandosi per il ritardo.
Non si preoccupi. Immaginiamo che le capiti spesso…
(Sorride).
Dottor Sperlì, da quanto tempo lavora all’ospedale di Cosenza?
Dal 1999.
Hai mai pensato di andare a lavorare altrove?
(Sorride di nuovo).
Non ci sarebbe nulla di grave…
È vero, ma sto bene qui.
Tante famiglie si trasferiscono dal sud al nord dell’Italia per far curare i loro bambini malati di tumore. Davvero ci si cura meglio al nord che al sud?
Le rispondo con una storia vera e personale. Nei primi anni del mio lavoro a Cosenza bussarono alla mia porta due coppie di genitori con i loro due figli, uno di 16 mesi e l’altro di 6 anni, malati entrambi di tumore. Entrambe le mamme mi chiesero quanti casi simili avessi curato nella mia vita professionale. Risposi in tutta onestà che erano i primi casi di questo genere, affermando però che avremmo garantito loro la stessa e identica assistenza che avrebbero potuto trovare da qualsiasi altra parte d’Italia. I genitori apprezzarono la mia sincerità e decisero di far curare i loro figli a Cosenza. Ora i due bambini sono grandi e sono diventati due splendidi ragazzi. Non siamo stati bravi, abbiamo solamente seguito le terapie e i protocolli uguali per tutti. Per concludere, sono i dati a confermare che ci si cura ugualmente in tutte le parti di Italia, oltre che tutti i miei colleghi che operano in tutta la penisola.
Come si spiega allora la migrazione?
Le cause sono diverse, a partire dalla sfiducia dei cittadini nei confronti del territorio e la disinformazione. In questo i mass media potrebbero fare molto dedicando almeno la stessa attenzione tra la “buona sanità” e i casi di malasanità.
Come convincerebbe una famiglia della sua regione che vuole andare a far curare il proprio figlio a Milano, a rimanere qui a Cosenza?
Io dico sempre alle famiglie: se la diagnosi è corretta, in Italia le cure sono applicate ovunque allo stesso modo. I genitori naturalmente hanno libertà di scelta e io posso solo continuare ad affermare che il tipo di assistenza che avranno qui è identica al tipo di assistenza che potrebbero avere in qualsiasi altro centro, senza i gravi disagi di una trasferta lunga e faticosa.
Ci sarà qualcosa che vuole cambiare del suo ospedale?
Un progetto a cui noi teniamo molto è quello di portare tutti i servizi di assistenza pediatrica su uno stesso piano perché porterebbe enormi vantaggi da un punto di vista logistico e sanitario. Non siamo solo noi medici a chiedere questo cambiamento, ma anche tante associazioni di volontariato che vivono tutti i giorni la vita dell’ospedale. Fra queste l’Associazione Gian Marco De Maria che ha chiesto anche l’intervento dell’Associazione Trenta Ore per la Vita per realizzare questa importante ristrutturazione che fa parte. La risposta, come sapete bene, è stata positiva (Questa iniziativa fa parte del “Progetto Home, ndr.).
Quanto è importante il ruolo di queste associazioni?
Importantissimo. Solo grazie a queste persone, infatti, le famiglie possono far fronte ai numerosi disagi che comporta lo star vicino ai propri figli malati, spesso lontano dalle loro case. Un ruolo quindi non solo logistico, ma anche e soprattutto psicologico.