Analizzare il DNA di 150 bambini e dei loro genitori, attraverso tecnologie di indagine e sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequencing – NGS), per permettere di individuare le cause genetiche delle forme di epilessia di cui oggi non si conosce l’origine e di malformazioni dello sviluppo cerebrale.
IL PROBLEMA
Una patologia diffusa ma di cui si parla poco
Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute nella “Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2009-2010”, in Italia sono circa 500.000 i pazienti affetti da epilessia, di cui circa 125.000 con forme resistenti alla terapia farmacologica mentre ogni anno si registrano tra 29.500 e 32.500 nuovi casi.
Un’indagine condotta su scala nazionale dal Ministero della Salute ha evidenziato che a livello di pronto soccorso l’epilessia è tra le più frequenti cause di consulto neurologico. In età pediatrica l’epilessia rappresenta la principale malattia neurologica e in Europa circa 5 bambini su 1000 sono affetti da una delle molte forme di epilessia. Si tratta di un dato di estrema gravità, poiché l’insorgenza precoce della malattia causa, in molti casi, deficit neurologici a lungo termine.
L’epilessia è una patologia neurologica di cui sono note diverse forme, tutte accomunate dal manifestarsi di crisi con episodi di perdita di coscienza, alterazioni motorie e o sensoriali, caduta o stato di assenza. Questi eventi sono provocati da scariche elettriche improvvise e anomale che interessano il cervello e determinano l’invio di messaggi confusi al resto del corpo.
Tra le cause della malattia vi sono fattori diversi come mutazioni genetiche ma anche traumi, tumori, infarto o emorragie cerebrali. Le crisi epilettiche, possono anche essere una manifestazione di altre patologie come, per esempio, l’autismo o la sindrome di Down.
Le ricadute dal punto di vista sociale, sono molteplici e tutte gravi: le persone con epilessia, infatti, ancora oggi, subiscono discriminazioni in molti dei contesti nei quali si svolge la vita sociale a partire dalla scuola.
COSA VOGLIAMO FARE
L'obiettivo del progetto
Con il progetto “La cura dell’epilessia inizia con la diagnosi” sarà possibile acquisire una diagnosi molecolare certa e iniziare a trattare i pazienti con le terapie più appropriate – “su misura” – a seconda delle caratteristiche specifiche di ciascuno.
Nella fase di avvio, il progetto coinvolgerà 150 bambini e i loro genitori, per un totale di 450 individui. L’esame del loro DNA, attraverso tecnologie di indagine e sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequencing – NGS), permetterà di individuare le cause genetiche di forme di epilessia di cui oggi non si conosce l’origine e di malformazioni dello sviluppo cerebrale.
Tali varianti genetiche verranno poi testate su altri 200 bambini. Quindi, complessivamente, saranno 350 i bambini che beneficeranno del progetto.
I bambini coinvolti nel progetto e ancora senza una diagnosi certa, sono in cura presso quattro grandi centri clinici e di ricerca attivamente coinvolti nel progetto:
- Ospedale Gaslini di Genova
- Ospedale Meyer di Firenze
- Ospedale Bellaria di Bologna
- Policlinico Universitario di Catanzaro
Presso i centri sopra citati saranno raccolti campioni e dati, poi condivisi in un unico database centrale.
COSA ABBIAMO FATTO
I traguardi raggiunti
UNA RICERCA CONDIVISA PER SCOPRIRE LE CAUSE DELLE FORME PIÙ GRAVI
Il network di ricerca ha consentito per la prima volta ai ricercatori italiani dei centri partecipanti di iniziare ad analizzare in modo condiviso i dati generati dal sequenziamento esomico di forme gravi e complesse di epilessia causate da mutazioni genetiche.
Questa modalità collaborativa amplia considerevolmente le possibilità di individuare le anomalie genetiche che sono alla base della patologia in quanto nel 50% dei soggetti che restano ancora non diagnosticati si ritiene che vi sia il contributo di tanti geni diversi, ognuno responsabile di pochissimi casi.
La possibilità di individuare il coinvolgimento di un gene in più di un soggetto con caratteristiche simili fornisce una prova convincente per valutarne la patogenicità utilizzando modelli sperimentali di laboratorio, spesso complessi e costosi ma che offrono la possibilità di chiarire il meccanismo della malattia e rivolgere la propria attenzione verso cure mirate.