Mia figlia aveva tre anni, era una bambina allegra, gioiosa, dolcemente capricciosa come tutti i bambini di quell’età. La nostra era una vita normale e forse, come tanti, non capivamo che quella “normalità” era un dono immenso, il più grande che si potesse avere. Una banale caduta, un dolore che non passava, una inappetenza, uno stato di malessere confuso per una banale influenza, i controlli (tanto per stare sicuri) e il tuo mondo si disintegra, esplode in mille pezzi.
Cancro. Una sola parola, quella più terribile, quella che tra tutte le diagnosi è la più inaccettabile a qualsiasi età, figurarsi per una bambina, per tua figlia!
È cominciato l’inferno. A volte mi sembra di avere pochi ricordi di quei momenti terribili, ricordo una nebbia che mi stringeva la mente, un terrore, pianti disperati, ti rifiuti di credere che sta succedendo a te, alla tua bambina, alla tua famiglia, ad una famiglia fino a ieri felice, che aveva il mondo in mano e non lo sapevamo. Ci siamo ricoverate nel reparto di pediatria oncologica dell’ospedale Pausilipon dicendo alla piccola che aveva un po’ di bua e che quei dottori gliela avrebbero fatta passare presto. Dal giorno successivo cominciano gli esami, le Tac, le ecografie e a ogni esame il nostro sangue si gelava, il tempo di una tac era infinito, pregavo perché passasse presto e poi tremavo per il risultato. È stata dura, durissima, solo chi ci è passato può saperlo!
La battaglia è stata lunga e dolorosa, alti e bassi come trottole, un attimo in cielo e il giorno dopo giù nell’abisso. La piccola si è adattata ai ritmi delle visite mediche, degli esami, delle chemio molto più velocemente di me. Mi diceva: “mamma vedi da quando ho questo non sento più dolore per i buchi” quasi contenta se non fosse che parlava del catetere venoso centrale. Quante notti non ho dormito per guardarla mentre si girava per paura che potesse sfilarsi. C’è voluto tempo prima che anche per me diventasse un amico. La vita in un reparto di oncologia pediatrica è dura ma noi abbiamo lottato per cercare di avere, anche in questa situazione, una vita il più possibile normale a cominciare dalla scuola presente in ospedale. Chiaramente per lei che aveva solo tre anni si trattava della scuola dell’infanzia, ma lei era contenta di colorare, di lavorare con il didò, di ritagliare le formine. Non ringrazierò mai abbastanza tutti per il supporto in quelli che erano i momenti più drammatici della mia vita. Quando è arrivato il giorno dell’intervento eravamo tutti cristallizzati, senza pensieri, con un pensiero fisso: “Signore ti prego, ti prego, ti prego…”.
Da allora sono passati quattro anni, manca ancora un anno per poter cominciare a guardare ad un raffreddore senza tremare, senza essere di nuovo preda dell’angoscia per un mal di gola. Facciamo regolari controlli e i medici ci dicono che tutto è alle spalle.
Ci credo, ci devo credere, la nostra vita pian piano è ricominciata, ma oggi conosciamo benissimo la meraviglia della “normalità”.
Ergi e mamma Keti: da una sponda all’altra dell’Adriatico
Qui abbiamo trovato persone magnifiche che ci hanno supportato emotivamente e ci hanno anche fatto emozionare. Nella casa c’è una bellissima stanza giochi per i piccoli, e vicino ci sono parchi dove i bambini possono trascorrere del tempo serenamente.