Molto, troppo spesso si sente parlare di problemi di integrazione o di mancata integrazione. La paura della diversità è una delle più ancestrali: ciò che è diverso e lontano da noi ci spaventa perché potrebbe in qualche modo cancellare o rovinare la nostra identità. L’incontro e lo scambio possono però battere questa paura, visto che queste esperienze sono talmente potenti che possono accadere anche quando una persona viene sottoposta a una prova durissima, come ad esempio assistere un figlio nel suo percorso di cure lontano da casa.
Ogni anno sono 115 in media i bambini stranieri a cui viene diagnosticato il tumore: quasi pari a circa 1.360 casi. Negli anni si è potuto osservare che la diagnosi di tumore a bambini immigrati è andata progressivamente aumentando, passando dai 30 casi (20 residenti all’estero e 10 residenti in Italia) del 1999 ai 130 casi (60 residenti all’estero e 70 in Italia) del 2008. La maggior parte dei piccoli pazienti che si rivolgono alle strutture del nostro Paese provengono dall’Europa, in particolare dalla zona dei Balcani e dall’Europa dell’Est. Ci sono però anche numerosi casi di provenienti dall’America Latina, per la maggior parte dal Venezuela e dall’Ecuador; dall’Africa, in particolar modo dal Marocco e dalla Libia e dall’Asia, specialmente dall’Iraq.
Seguire i propri bambini in un percorso di cura in Italia significa essere costretti a spostarsi in un altro Paese per periodi anche molto lunghi, per questa ragione restare al fianco dei propri figli non è facile. Alcuni riescono a trovare accoglienza nelle case famiglia gestite dalle Associazioni di genitori in tutta Italia: qui vengono in contatto con piccoli pazienti italiani e i loro genitori, e la solidarietà che si sviluppa in una situazione così problematica è davvero straordinaria.
Per sostenere lo straordinario lavoro delle Associazioni di genitori, Trenta Ore per la Vita è impegnata nel Progetto Home. Anche tu puoi dare una mano, scopri come.